Il cimitero delle fontanelle, nel quartiere Sanità è un luogo dove il sacro e il profano si incontrano. In queste enormi cave di tufo ci seppellivano i morti della peste e del colera, epidemie che decimarono la città nel 1656 e nel 1865 e di cui non si conosce la loro identità. Le chiamano anime pezzentelle, morte e dimenticate. In questo luogo si refriscano ll’anem ‘o priatorio: quarantamila cape ‘e morte, teschi allineati e impilati, innumerevoli resti compressi sotto i piano di calpestio, metri e metri di ossa.

La città le ha adottate, una ad una. Un fiume di anime perdute, rimaste intrappolate tra cielo e terra, incastrate nel purgatorio, che non punisce e non beatifica lasciandole vagare in cerca di riposo eterno.

Si entra facendosi il segno della croce, si tocca un teschio e si aspetta… come se si aspettasse una connessione con il mondo eterno, un energia. E si ripete il segno della croce. 

Povere capuzzelle! Qualcuna trasuda perchè le cave sono umide ma la fede popolana sa che quella è acqua purificatrice, un’emanazione dell’Aldilà. Hanno vissuto l’abbandono, la dimenticanza, la disperazione in vita come nella morte. E adottare un’anima è avere compassione, è un’atto umano prima che religioso. Una preghiera, un pensiero, donano un pò di serenità a queste anime.

Al morto, verso cui si è deciso di dedicare la propria devozione, tocca ricambiare con consigli, grazie e numeri del lotto. Ci provereste anche voi ad adottare una capuzzella, ora?

Aldilà di ogni pregiudizio, questo cimitero è la prova che, a Napoli, la morte non fa paura, non va scacciata. Le anime purganti sono il legame con l’aldilà, che guidano e proteggono chi è ancora in vita e questa città si è alleata con i morti per averne vantaggio.